Perché crisi è sinonimo di progresso?
Crisi non ha un significato necessariamente negativo. Etimologicamente deriva dal greco krino e indica l’atto di separare, perciò con crisi si intende anche possibilità di discernimento e valutazione. Insomma la crisi è un momento di rottura nel corso della storia, ma è proprio grazie alla separazione che diventa possibile analizzare i motivi di quella crepa. L’allontanamento, insomma, è una forma di separazione ed è la condizione necessaria per giudicare con neutralità i fatti. Non sarebbe possibile prendere in considerazione gli eventi senza un distacco che ci consenta l’assunzione di un punto di vista più ampio, di una prospettiva da cui cogliere le variabili in gioco. La crisi ci avverte che la struttura precedente non è più allineata al contesto in divenire. Perciò dobbiamo rispondere “altrimenti”, adattandoci alle richieste emergenti. È per questo che il progresso è, a mio avviso, sinonimo della parola crisi. Progresso è il senso positivo della rottura.
Progresso, come analizza Shivani Siroya, riguarda la compensazione di un gap, la soluzione di una qualche ingiustizia.
Popper descrisse il valore di una società aperta in cui viene applicata l’ingegneria gradualistica. Un soggetto non ha mai sempre ragione, la saggezza è qualcosa di distribuito tra tutta la popolazione. Non esiste la società perfetta, quella per cui ogni alternativa alla sua ortodossia sarebbe necessariamente un errore da bandire. Questa concezione somiglia all’idea di saggio di Cartesio: si deve restare costanti altrimenti ogni cambiamento significherebbe una perdita di virtù. La costanza del giusto è la conclusione inevitabile se si esclude una perfettibilità, postulando una meta universale del Bene, che, se raggiunta, andrebbe mantenuta immobile ed eterna.
Secondo Popper la perfezione non esiste e non si possono sacrificare generazioni per un’utopia che cambia all’alternarsi dei progetti politici e dei tempi storici. Le richieste cambiano e non si possono anticipare. Non è possibile applicare il modello nomologico-deduttivo per prevedere il futuro della storia. La struttura di una società è data anche dalle scoperte scientifiche, pertanto come è possibile prevedere le scoperte del domani? La scienza non sarebbe un continuo procedere per falsificazioni e approssimazioni migliori, ma diventerebbe un sistema già in nostro possesso dall’alba dei tempi. Siccome ciò è assurdo, si deve concludere che l’induzione non è applicabile alla storia. Cosa fare dunque? La democrazia consente di ragionare sui problemi che, qui ed ora, abbiamo tutti sotto gli occhi. Vanno proposte tante risposte a quei singoli mali, traducendo le più efficaci in riforme che gradualmente risolvano le criticità. È un percorso che prevede errori, e una democrazia deve essere pronta a scegliere altre soluzioni laddove quelle applicate si dimostrassero errate. Com’è chiaro, allora, il progresso è gradualistico. È l’opportunità di colmare un buco, di risolvere un singolo problema. Oggi più che mai la sfida non è creare sensazionalismi, buoni solo per titoli clickbait. L’obiettivo è ridurre le disuguaglianze, rispondere al problema climatico e ambientalista, sfruttando anche le tecnologie in nostro possesso. Le vere rivoluzioni sono silenziose, ma reali. Ogni riforma è un livello di crescita più ampio , nel quale si può rintracciare del nuovo miscelato a un passato non dismesso, ma trasformato. Non viene semplicemente superato lo status quo; l’obiettivo è riformare con gradualità. Il progresso è una specie di Aufhebung: mantenimento e superamento insieme.
Stampa 3D: tutto ciò che è reale non è necessariamente razionale
La stampa 3D è una di quelle tecnologie dirompenti che si presume possano contribuire a compensare molti dei “buchi” all’interno delle maglie sociali a livello globale. Sanità, educazione, manifattura, edilizia, trasporti, sono alcuni dei settori che traggono vantaggio dal suo uso.
Per certi versi la stampa 3D incontra il caposaldo hegeliano che postula l’identità tra ragione e realtà. Con la stampante 3D i progetti, le idee diventano immediatamente reali se hanno una razionalità, diciamo, architettonica. Ogni prodotto stampabile in 3D descrive il principio hegeliano “tutto ciò che è razionale è reale”, nel senso che un modello tridimensionale, laddove rispettasse la razionalità, corrisponde immantinente a un oggetto. Ma cosa ne è della seconda parte della formula? Tutto ciò che è reale è automaticamente razionale? No, non ogni oggetto stampato in 3D è tout court buono, giustificato e razionale. Esiste tanta opportunità quanto rischio. Ecco dunque qual è il nostro compito di esseri umani. Discernere cosa di ciò che è reale è razionale e soprattutto trovare soluzioni e regole perché l’irrazionale non irrompa con nuove divisioni.
Sanità
Il Covid ha accelerato il cambiamento, dando l’impressione di stare avendo a che fare con una rottura più radicale. In realtà la rivoluzione era già un processo in atto, che sarebbe accaduto in tempi più diluiti se non fosse capitata questa pandemia. Una delle trasformazioni più palesi è proprio lo spostamento dalla presenza alla distanza per l’istruzione ma anche per la sanità. Se per alcuni contesti la virtualità non appare adeguata, in alcune zone del pianeta la telemedicina e l’eduzione da remoto potrebbero rappresentare la svolta. Pensiamo all’Africa, lì per avere una diagnosi bisogna camminare per giorni prima di raggiungere un campo allestito. Certo la telemedicina abbisogna di connessione internet, ma è più facile rendere globale la rete piuttosto che costruire ospedali. Esiste un progetto chiamato 2Africa che prevede la diffusione di cavi sottomarini, seguendo quasi la circumnavigazione di Vasco de Gama, così da garantire un accesso equo al web in Africa e nel Medio Oriente. L’obiettivo è portare a termine i lavori nel 2023.
Oltre a poter usufruire di diagnosi senza doversi spostare, mettendo maggiormente a repentaglio la propria salute, la stampa 3D potrebbe diventare un’ulteriore risorsa di cui beneficiare localmente, grazie alla quale diventerebbe possibile l’auto-produzione di arti, in luoghi difficili da raggiungere dai volontari occidentali e dove però la richiesta di interventi protesici è molto elevata. I campi minati mutilano quotidianamente i civili, condannandoli a una morte quasi certa. La possibilità di disporre localmente di stampanti 3D, i cui costi sono accessibili, e di un check-up a distanza attraverso schermi e una connessione alla rete, trasformerebbero le possibilità di sopravvivenza del Terzo Mondo. E-Nable si occupa proprio di rendere disponibili modelli e stampanti 3D ai soggetti poveri. È un’associazione di volontari che ha filiali in tutto il mondo perché questa rete solidale possa avvantaggiarsi del contributo di tutti i makers. E-Nable ha appena dato il suo riconoscimento ufficialmente a Io Do Una Mano, associazione italiana nata con lo stesso scopo. Si occupa di connettere volontari, robotici e famiglie per donare, a chi ne facesse richiesta, un ausilio stampato 3D totalmente personalizzato.
Manifattura
La stampa 3D parte da modelli CAD per stampare, strato per strato, l’oggetto corrispondente. È riconsegnare nelle mani dei progettisti l’intero processo produttivo, dall’idea alla realizzazione. Insomma, potrebbe essere un modo per superare l’alienazione capitalistica? Il lavoro è di nuovo interamente del soggetto, responsabile dell’attività, dell’idea subito concretizzata. In questo senso non esisterebbero più divisioni tra lavoro intellettuale da lavoro manuale. La finalità generale è inoltre ben visibile: non ci sarebbero più divisioni del lavoro estreme che rendono difficoltoso cogliere compiutezza da ogni gesto ripetitivo. Perciò l’alienazione rispetto al prodotto, rispetto alla produzione, rispetto agli altri e rispetto alla propria umanità vengono rimarginate. Come se una stampante 3D customizzasse addirittura tappi per le varie divisioni sociali. La stampa 3D può ricondurre le industrie nel Paese di origine. La pratica di offshoring può finalmente avere un’alternativa competitiva e finalmente etica. Al centro della stampa 3D c’è il concetto del poter fare tutto da soli e a costi minori. Si può progettare un ricambio ad hoc e stamparlo senza che quell’oggetto venga a costare una cifra improponibile fosse stato prodotto seguendo il precedente metodo produttivo. Invece di una produzione seriale per un mercato di massa, la stampa 3D permette di personalizzare, riducendo gli sprechi e quindi anche la creazione di bisogni fittizi. È come se la macchina potesse tornare una proprietà privata dei singoli. Agli individui ora competerà lo sviluppo di conoscenze con le quali adattare e modellare i progetti secondo i propri bisogni. Ecco dunque che entra i campo la scuola del futuro.
Educazione
La scuola, seguendo programmazioni e curricula di vent’anni fa, come minimo, appare disincarnata, un mondo parallelo incapace di preparare i ragazzi alle richieste del mondo del lavoro. I ragazzi chiedono contestualizzazione. L’unico fine è il voto. Le motivazioni intrinseche allo studio sono possibili solo se si riesce a trovare un triangolo di legami tra la propria attitudine, le materie e la comunità esterna. Solo così il ragazzo può trovare il giusto stimolo ad apprendere, al di là del test. Per agganciare i ragazzi, la tecnologia appare l’esca perfetta (ma, attenzione, che sia un’esca che sfami il discente!). IoT, robotica, programmazione, stampa 3D rappresentano il futuro del mondo del lavoro ed è impensabile che un ragazzo non li scopra già a scuola; eventuali talenti STEAM rimarrebbero inevitabilmente nascosti ai più. La stampa 3D, come le altre innovazioni digitali permettono di collegare in maniera proficua tutte le materie: dalle discipline scientifiche a quelle umanistiche, dando loro un senso immediatamente spendibile nel lavoro. Bisogna preparare anzitempo le generazioni a partecipare al futuro, altrimenti non saranno in grado di cogliere le possibilità del domani. Anche noi subiremo le conseguenze di questo gap formativo. La stampa 3D permette anche di realizzare quell’inclusione scolastica spesso rimasta come una promessa inattuata. Se storia dell’arte potesse diventare una materia che gli ipovedenti potessero toccare? Con questa tecnologia è possibile. Basta un modello 3D di una scultura, ma anche di un animale, di un organo, per avere la riproduzione materiale corrispondente. Educare al cambiamento è necessario anche per rendere i cittadini pronti a interpretare le possibilità ma anche gli effetti collaterali delle innovazioni. In effetti se i vantaggi della stampa 3D sono molteplici ed evidenti, è anche vero che con essa si possono aprire alcuni scenari poco rassicuranti. Saper discernere la razionalità in ciò che è reale è possibile solo se chi osserva ha uno sguardo carico di teoria; e la teoria è qualcosa che va appreso sotto la guida di esperti (in ogni campo).
Armi e anello di Gige
Se ognuno ha la possibilità di stamparsi i propri oggetti cosa ne è del copyright per l’Arte? Come è possibile riconoscere i prodotti originali scartando quelli contraffatti? Non è un problema di brevetti e di Ego, ma di sicurezza. Il concetto di “originalità” si associa a una garanzia che il produttore mi dà per il suo oggetto. Non solo, ultimamente si è aperto un problema notevole relativo al commercio delle armi 3D, tanto che Biden sta cercando di bandirle. Le armi fai-da-te non hanno ovviamente il numero di serie ed essendo di plastica sono facilmente scioglibili. Un crimine commesso con una pistola stampata in 3D diventa praticamente impossibile da rintracciare. Ci si appella al primo e al secondo emendamento degli Stati Uniti d’America, accusando di anticostituzionalità il tentativo del Governo federale di impedire un’auto-produzione di armi. È illecito perché gli USA proteggono la possibilità di essere armati e di difendersi da sé e soprattutto, cosa interessante, impedire la stampa 3D delle armi violerebbe la libertà di stampa stessa. In effetti la stampante 3D sovrappone l’informazione all’oggetto dell’informazione. Si divulga un’idea o si fa commercio di armi fantasma? È un feticcio per collezionisti? Un oggetto da museo? O un’opportunità per gruppi terroristici? La pistola stampata in 3D è l’anello mancante tra pistolina giocattolo e la guerra vera e propria. Il dito che preme il grilletto pensa di essere invisibile perché l’arma stampata diventa un anello di Gige in grado di celare l’identità di chi esplode i suoi colpi.