GILL PRATT COME I ROBOT POTRANNO AIUTARCI A FARCI SENTIRE PIÙ GIOVANI

Gill Pratt è Chief Scientist di Toyota e CEO del Toyota Research Institute (TRI). Pubblichiamo, in traduzione italiana nostra, l’intervista che Pratt ha rilasciato all’inizio del 2022 a Evan Ackerman della rivista IEEE Spectrum. Ringraziamo Spectrum per il permesso di pubblicazione.

In questa intervista, Pratt sottolinea alcuni aspetti molto interessanti, tra cui la necessità di progettare robot avendo come punto di vista le necessità dell’utente,  i problemi reali che gli umani affrontano ogni giorni, non le meraviglie della tecnologia.

Un altro contributo notevole dell’intervista è che aiuta a “pensare come un robotico”, ovvero a tutti i problemi robotici e di Intelligenza Artificiale coinvolti nella progettazione di una macchina intelligente e autonoma.

 

La questione non riguarda i robot, ma gli umani

ENTRO il 2050, la popolazione mondiale di 65 anni o più sarà quasi il doppio di quella attuale. Il numero di persone di età superiore agli 80 anni triplicherà, avvicinandosi a mezzo miliardo. Gli interventi a sostegno degli anziani rappresentano una preoccupazione in tutto il mondo, ma questo cambiamento demografico è particolarmente pronunciato in Giappone (e in Italia, NdR), dove più di un terzo dei giapponesi avrà 65 anni o più entro la metà del secolo.

Il Toyota Research Institute (TRI), fondato da Toyota Motor Corp. nel 2015 per la ricerca sui veicoli autonomi, la robotica e le ” human amplification technologies,” ovvero quelle tecnologie che aumentano le nostre capacità di percezione e azione, ha concentrato una parte significativa della ricerca su progetti di sostegno agli anziani per assicurare la loro salute, felicità e indipendenza il più a lungo possibile. Sebbene sia un obiettivo importante di per sé, migliorare l’autosufficienza degli anziani riduce anche il   sostegno economico che la società nel suo complesso deve fornire loro. Senza l’aiuto della tecnologia, assicurare una vita dignitosa agli anziani diventerà sempre più difficile, in Giappone, ma anche a livello globale.

Gill Pratt è una persona sorridente, con baffi e barba, in completo con cravatta blu.  Pensa che i robot possano svolgere un ruolo significativo nell’assistenza agli anziani, risolvendo i problemi fisici e fornendo supporto mentale ed emotivo. Con un passato nella ricerca robotica e cinque anni come program manager presso la Defense Advanced Research Projects Agency, (DARPA) durante i quali ha supervisionato la DARPA Robotics Challenge nel 2015, Pratt si rende conto di quanto possa essere difficile portare i robot nel mondo reale in modo utile, responsabile e rispettoso.

 

Spectrum: Quali sono i problemi importanti che possiamo risolvere in modo utile e affidabile con i robot domestici in tempi relativamente brevi?

Gill Pratt: L’invecchiamento della società è il primo fattore di mercato che ci interessa. Negli ultimi anni ci siamo resi conto che l’invecchiamento della società crea due problemi. Uno è all’interno delle case dove vive la persona anziana che ha bisogno di aiuto, e l’altro è per il resto della società, per i giovani che devono essere più produttivi per sostenere un numero maggiore di anziani. L’indice di dipendenza è la frazione della popolazione che lavora rispetto a quella che non lavora. Per fare un esempio, in Giappone, tra non molti anni, si arriverà a un rapporto di 1:1, un tasso che non è mai esistito prima.

Risolvere i problemi fisici è forse la questione più semplice dell’assistenza a una società che invecchia. Il problema maggiore è la solitudine, che non sembra essere una questione di robotica, ma potrebbe esserlo. In relazione alla solitudine, il problema principale è avere uno scopo e sentire che la propria vita ha ancora un valore.

Quello che vorremmo realizzare è una macchina del tempo. Ovviamente non possiamo farlo, è fantascienza, ma vorremmo poter esaudire il desiderio di una persona che ci chiede: “Vorrei essere più giovane di 10 anni” e far sì che un robot la aiuti a realizzarlo.

 

Spectrum: Ci sono diversi approcci robotici che potrebbero essere utili per affrontare i problemi che lei descrive. Da dove iniziare?

Pratt: Vorrei farvi un esempio, di cui parliamo sempre tra di noi, perché ci aiuta a riflettere: immaginiamo di costruire un robot che ci aiuti a cucinare. Gli anziani hanno spesso difficoltà a cucinare, giusto?

Un progetto di robotica potrebbe essere quello che il robot cucini per l’anziano. L’idea può essere corretta: che cosa c’è di meglio di una macchina che cucina da sol aper noi? La maggior parte dei robotici sono giovani, e tutti i robotici sono ben contenti di aver a che fare con le macchine, le tecnologie, i robot e si dicono: “Non sarebbe fantastico se una macchina cucinasse per me e mi portasse il cibo in modo che io possa tornare al lavoro?”

Ma per una persona anziana è diverso, per lui o lei sarebbe veramente importante essere ancora in grado di cucinare e provare quella sensazione di “potercela fare da solo”. È l’idea della macchina del tempo: aiutarli a sentire che possono ancora fare ciò che erano in grado di fare come cucinare per la loro famiglia e contribuire al loro benessere. Stiamo quindi cercando di capire come costruire macchine che permettano queste attività, che ci aiutino a cucinare ma non cucinino per noi, che sono due cose diverse.

 

Spectrum: Come possiamo intervenire sulla tendenza a concentrarci sulla soluzione di problemi tecnici piuttosto che su quelli di maggiore impatto?

Pratt: Quello che abbiamo imparato è che si deve partire dagli umani, da chi userà i robot. Ci siamo chiesti: Di che cosa ha bisogno un anziano? E anche se noi robotici amiamo i gadget, le macchine intelligenti, i motori e gli amplificatori e le mani e le braccia e le gambe artificiali, mettiamo da parte tutto questo per ora e immaginiamo di essere un nonno: sono in pensione, non riesco a muovermi come quando ero più giovane, e per lo più sono solo. Come possiamo aiutarlo ad avere una migliore qualità di vita migliore? Da queste domande possono nascere robot o tecnologie robotiche veramente utili.

Un secondo consiglio è quello di non cercare le chiavi dove c’è la luce. Questo è un vecchio detto: se ti capita di perdere le chiavi per strada di notte, non cercarle sotto il lampione perché c’è luce, ma dove ti sono cadute. Nel campo della robotica c’è una tendenza analoga – e l’ho fatto anch’io – che ci fa dire: “Oh, conosco un po’ di matematica che posso usare per risolvere questo problema”. È lì che c’è la luce. Purtroppo il problema che deve essere risolto è laggiù, al buio. È importante resistere alla tentazione di usare la robotica come veicolo per risolvere solo i problemi che consideriamo risolvibili.

 

Spectrum: Sembra che i robot sociali possano potenzialmente rispondere ad alcune di queste esigenze. Secondo lei qual è il ruolo giusto dei robot sociali nell’assistenza agli anziani?

Pratt: Per persone affette da demenza avanzata, la vita è molto difficile. Esistono una serie di robot simili a bambole che possono aiutare una persona affetta da demenza a sentirsi più a suo agio, e a migliorare la qualità della vita. Questi robot possono apparire inquietanti per persone che non abbiano questa disabilità, ma credo che in realtà siano validi come oggetti di compagnia.

Ci sono altri milioni potenziali utenti di robot, se si vuole pensare in termini commerciali, la cui vita potrebbe essere migliorata.  Immaginiamo una donna o un uomo in pensione, soli, il loro coniuge forse è morto, non hanno molto da fare e si sentono depressi. Molti di loro non sono esperti di tecnologia come lo sono i loro figli o i loro nipoti, ma i loro figli e i loro nipoti sono impegnati. Cosa possiamo fare per aiutarli?

La tecnologia può aiutare.

Qui entra un dilemma molto interessante: vogliamo costruire una tecnologia socio-assistenziale, ma non vogliamo far credere che il robot sia una persona. Sappiamo che gli umani antropomorfizzano una macchina sociale, il che non dovrebbe essere una sorpresa, ma è molto importante non oltrepassare il limite, poiché  si tratta di una macchina e non un umano.

Ci sono quindi molte cose che possiamo fare. Il settore è appena agli inizi e molti dei progressi in questo campo si avranno nei prossimi 5-10 anni. Nello spazio della robotica sociale, possiamo usare i robot per aiutare le persone sole a essere più vicini ai loro figli, i loro nipoti e i loro amici. Riteniamo che questo sia un potenziale enorme e non sfruttato.

 

Spectrum: Dove si pone il limite alla quantità di connessioni che si cerca di creare tra un essere umano e una macchina?

Pratt: Dovremmo essere molto rigorosi dal punto di vista etico,  per non ingannare nessuno. Le persone si ingannano da sole, ma non dobbiamo farlo noi per loro. Se diciamo “Questo è il vostro assistente personale meccanizzato”, va bene. “È una macchina ed è qui per aiutarvi in modo personalizzato. Imparerà ciò che vi piace. Imparerà ciò che non vi piace. Vi aiuterà ricordandovi di fare esercizio fisico, di chiamare i vostri figli, i vostri amici, di mettervi in contatto con il medico, tutte cose che è le persone possono dimenticare”. Non si tratta di sostituirsi agli umani ma di aiutarli a vivere in comunità con gli altri e a vivere una vita più sana.

 

 

Spectrum: Quanto pensa che l’uomo debba essere informato e interessati ai sistemi robotici di consumo? Dove potrebbero essere più utili?

Pratt: Dovremmo evitare che i robot svolgano azioni che non siano trasparenti, anche se nel mondo dei robot di consumo sarà inevitabile. Ad esempio, supponiamo che un veicolo autonomo si avvicini a un’auto parcheggiata in doppia fila, e che il veicolo, per proseguire, debba attraversare una doppia linea gialla, che è vietato. A questo punto, il veicolo dovrebbe telefonare all’umano responsabile chiedendogli: “In questo caso, ho bisogno di un’eccezione per attraversare la doppia linea gialla”. E l’umano può decidere l’azione del robot.

Tuttavia, il fatto che l’umano responsabile del veicolo prenda una decisone a distanza presuppone che il collegamento tra i due sia così affidabile come se la persona fosse al posto di guida. Oppure, presuppone che la capacità del veicolo di evitare comunque un incidente sia così alta che, anche se il collegamento di comunicazione si interrompesse, il veicolo autonomamente eviterebbe ogni incidente. Entrambe, sono eventualità molto, molto difficili da realizzare.

Che gli umani svolgano a distanza una funzione di supervisione, vanno bene. Ma credo che dobbiamo stare attenti a non ingannare il pubblico facendogli credere che il veicolo prenda sempre decisioni autonome, quando invece c’è ancora un umano alla guida: è solo spostato e non si vede.

Abbiamo letto dell’idea che un robot di pulizia potrà lavorare a casa nostra casa gestito da qualcuno che si trovi in remoto, in qualche parte del mondo, e che questo creerebbe nuovi posti di lavoro in aree meno favorite. Credo che, dal punto di vista pragmatico, sia difficile farlo. E spero che il tipo di posti di lavoro che creiamo sia migliore di quello che si ottiene stando seduti a una scrivania guidando una macchina per le pulizie nella casa di qualcuno dall’altra parte del mondo. Di certo non è fisicamente così impegnativo come essere presenti e fare il lavoro, ma spero che il robot per le pulizie sia abbastanza bravo da pulire la casa da solo per quasi tutto il tempo e solo occasionalmente abbia bisogno del nostro intervento.

 

 

Spectrum: Può fare un esempio di una tecnologia specifica su cui il TRI sta lavorando e che potrebbe essere utile agli anziani?

Pratt: Ci sono molti esempi. Ne scelgo uno molto concreto: il progetto Punyo.

Per aiutare davvero gli anziani a vivere come se fossero più giovani, i robot non devono solo essere sicuri, ma anche forti e gentili, in grado di percepire e reagire ai contatti e ai disturbi, sia previsti che inaspettati, come farebbe un umano. E naturalmente, se i robot devono migliorare la qualità della vita di molte persone, devono anche essere accessibili dal punto di vista del loro prezzo.

Gli attuatori SCA (Smart Compliant Actuator) con cui il robot percepisce il contatto fisico e reagisce con precisione, flessibilità e cedevolezza, possono essere un passo avanti. Il passo successivo è stato la realizzazione di superfici intelligenti (compliant), con strumenti integrati, funzionali e a basso costo, morbide al tatto. In Toyota, abbiamo iniziato a sviluppare pinze morbide e curve con rilevamento tattile ad alta risoluzione, per la manipolazione, e ora stiamo aggiungendo superfici compliant a tutte le altre parti del corpo del robot per sostituire il metallo rigido o la plastica. Il nostro obiettivo è che l’hardware dei robot abbia la forza, la delicatezza e la consapevolezza fisica dell’assistente umano più abile, e che sia accessibile a un gran numero di persone anziane o disabili.

 

 

Spectrum: Secondo lei, quale dovrebbe essere la prossima sfida DARPA per la robotica?

Pratt: Wow. Non lo so! Ma posso dirle qual è la nostra in Toyota Research Center. In questo momento, la sfida riguarda i negozi di alimentari. Questo non significa che vogliamo costruire una macchina che faccia la spesa, ma stiamo cercando di intervenire su tutte le azioni difficili che svolgiamo quando siamo al supermercato: prendere una merce anche se è in alto, individuare il prodotto e le sue caratteristiche anche se l’etichetta è mezza strappata, e così via. In realtà, il progetto è valido anche per progettare macchine con lo stesso tipo di capacità di cui abbiamo bisogno per molte altre azioni in casa.

Infatti, stavamo cercando di individuare un progetto che non implicasse dover visitare migliaia di case, e abbiamo scoperto che il negozio di alimentari è un ottimo ambiente. Durante il progetto, abbiamo spiegato ai partecipanti che non ci stavamo occupando solo di azioni al supermercato, ma che il nostro intervento riguarda tutte quelle azioni e capacità che ti permettono di operare sia in un supermercato sia a casa che in altri luoghi.

 

 

Spectrum: Nel corso della sua carriera, dal mondo accademico alla DARPA e ora al TRI, come è cambiata la sua prospettiva sulla robotica?

Pratt: Credo di aver imparato la lezione di cui parlavo prima: ora capisco molto meglio che nel mio lavoro non sono importanti solo i robot, soprattutto le persone. In realtà, adottare un punto di vista di progettazione incentrato sull’utente è facile a dirsi, ma è davvero difficile da realizzare.

Come tecnologi, il motivo per cui siamo entrati in questo campo è che amiamo la tecnologia. Posso sedermi e progettare macchine su un foglio di carta e esserne soddisfatto, ma questo non vuol dire che abbia pensato veramente al destinatario e al suo problema,  che avrei dovuto risolvere.

È come cercare le chiavi dove c’è la luce.

Difficile è cercare dove c’è buio, dove non siamo soddisfatti. Prima di tutto, voglio parlare con molte persone che saranno gli utenti di questo prodotto e capire quali sono le loro esigenze. Non voglio cadere nella trappola di chiedere loro cosa vorrebbero e cercare di costruirlo, perché non è la risposta giusta. Quindi, ciò che ho imparato più di tutto è la necessità di mettermi nei panni dell’utente e di pensare davvero come se fossi lei o lui.

L’articolo originale: https://spectrum.ieee.org/gill-pratt-toyota-elder-care-robots

 

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