Siamo chiusi in casa come voi! Da una scuola media di New York City

la Prof.ssa Ariel Sacks

In questi giorni di lockdown (abbiamo imparato anche nuovi termini inglese, come lockdown, spill over e altri) siamo entrati in contatti con la Prof.ssa Ariel Sacks, che insegna da quattordici anni nelle scuole pubbliche di New York City, scuole medie. Ariel Sacks è anche consulente di pedagogia e tiene una rubrica nella rivista Education Week.

È l’autrice del libro Whole Novels for the Whole Class: A Student-Centered Approach. Troverete molte altre informazioni sulla sua attività sul suo sito: http://arielsacks.com/author-bio

Ariel Sacks e i suoi studenti si trovano, come noi in Italia, in una situazione drammatica, poiché New York City è una delle zone rosse mondiali della pandemia COVID. Tutti sono chiusi a casa e Ariel svolge lezioni on line con le sue classi.   La descrizione che pubblichiamo, in traduzione nostra, della loro situazione potrebbe essere stata scritta da una o uno dei nostri docenti. E’ stata pubblicata su Education Week, in inglese, qui.

La vita di un insegnante in un epicentro del Corona virus

di Ariel Sacks

New York City, 1 aprile 2020

La notizia mi arriva tra una lezione e l’altra. New York City, dove vivo, è ora il punto caldo per il Corona virus. Davanti all’ospedale di Elmhurst, a pochi isolati da casa mia nel Queens, c’è una lunga fila fuori dalla porta, mai vista prima. Ci sono elicotteri che volteggiano sopra l’ospedale, e tutta l’America vede questi filmati e si rende conto che tutto ciò è reale.

I miei amici che sono infermieri stanno postando su Facebook che non ci sono più maschere e camici disponibili nei loro ospedali. Leggo che una giovane preside di Brooklyn è morta a causa del virus. Anche un insegnante della mia scuola è risultato positivo al test ed è a casa con sintomi lievi. È una delle poche persone che conosco che è riuscita a fare il test quando si è sentita male.

Io e mio marito continuiamo a guardarci, pensando la stessa cosa: dovremmo andarcene da qui? L’assistenza sanitaria sarebbe più disponibile altrove? Se rimaniamo, i negozi di alimentari saranno ancora riforniti di cibo? Queste domande incombono su di noi, perché il rischio  si fa sempre più allarmante ora dopo ora.

Mentre tutto ciò sta accadendo, sono in chat con i miei colleghi della scuola media. Questo tipo di collegamento è una novità per noi. Non possiamo più andare nelle nostre classi e parlare. Ora, i nostri incontri sono programmati su Zoom. Quando gli hacker riescono a entrare in Zoom ci spostiamo su Google Live streaming. Oggi, la questione più urgente è come identificare quell’ospite non invitato che continua a entrare nella lezione on line via Zoom con la mia seconda media e fa comparire foto inappropriate. Abbiamo imparato molto nell’ultima settimana.

Una delle tante e-mail che riceviamo è il messaggio di un amministratore, che ci ricorda che dobbiamo lavorare ogni giorno di sei ore e 50 minuti, comprese sei ore di corso agli studenti e la documentazione di tutte le attività e le interazioni con gli studenti e le famiglie. Da questo dipende il finanziamento della nostra scuola.

 

Non guardare in basso!

La realtà è che stiamo lavorando da matti, molto di più. Molti di noi hanno anche i propri figli a casa, che hanno bisogno di cure e di aiuto perché anche loro stanno seguendo le lezioni distanza. Capisco la necessità che la nostra scuola sia in grado di sostenere la promessa “manterremo la scuola aperta”, ma l’idea di documentare ogni singola interazione online mi toglie letteralmente il respiro.

È una situazione del tipo “non guardare in basso”, verso il precipizio. Molto rapidamente, e facilmente, potrebbe andare tutto in pezzi. Ma finora, stiamo andando nella giusta direzione.

Rispondo alle e-mail degli studenti. Pubblico su Google Classroom. Poi ricevo altre notizie: Come sospettavamo, gli esami di inglese e di matematica sono stati ufficialmente cancellati per l’anno in corso. Cancello le dodici email da aziende che mi offrono prodotti didattici. Ho bisogno di tempo per pensare.

Mio marito sta facendo un esperimento con il ghiaccio con nostra figlia, che va all’asilo, e che deve svolgere un esercizio on line su questo tema. (Improvvisamente, migliaia di genitori di New York City devono mettesi a imparare come funziona Google Classroom, cosa che trovo stranamente divertente). Per tutto il giorno, nostra figlia rimbalza tra me e suo padre, divertendosi nella sua stanza, e la TV. Ieri si è svegliata piangendo perché le mancano i suoi amici.

 

Rimanere in contatto con i miei studenti

E’ ora di aprire Zoom per la lezione on line con la mia classe della scuola media, lezione di inglese. Vederli mi rende felice: ho capito – mi hanno detto – che cosa fanno i miei studenti quando sono in classe on line: sono in chat con gli amici e contemporaneamente tengono il monitor accesso – ma capita che lo disabilitino. La frequenza è del 100%, il che mi stupisce. (La mia scuola ha consegnato il computer portatile Chromebook a tutte le famiglie che lo abbiano  richiesto).

I primi due giorni, ho svolto lezioni piuttosto pesanti, con molte slide. Ho assegnato agli studenti dei compiti a casa giornalieri per raccontare le loro esperienze nei loro diari.  Ma oggi, poiché molti studenti me lo hanno chiesto, abbiamo dedicato molto tempo di Zoom a scambiare idee tra di noi, e tutti hanno letto ad alta voce i loro appunti e annotazioni, dal loro diario, e poi me le hanno inviate.

La realtà della loro vita mi appare ora più molto chiara quando, come in questi giorni, me ne parlano. Intanto, sento un bambino che fa chiasso, in una delle loro case, e in sottofondo un notiziario in bengalese. I miei studenti sollevano i loro cani e gatti per inquadrarli nella videocamera per farceli vedere. È bello sentire le loro voci e stare con loro.

Molti studenti hanno detto che, all’inizio, erano eccitati per “un mese” di interruzione delle lezioni, ma poi ben presto si sono annoiati, ed essere tornati a, scuola, anche in remoto, dopo una settimana del nulla, è un sollievo: “Ho fatto un salto di gioia”, mi ha detto uno studente. “Se non fosse stato per Zoom, probabilmente sarei impazzita”, mi scrive un’altra.

Alcuni studenti non riescono a decidere se gli piace la “scuola remota”. Ricevono molte e-mail e compiti online; è scomodo stare seduti per così tante ore al giorno. Tutti sono stufi di essere bloccati dentro casa. Soprattutto, sentono la mancanza dei loro amici.  “Mi rendo conto ora quanto è bello stare con i miei amici… Anche se ho una PlayStation 4 e un portatile e il mio telefono, non è lo stesso, non è come stare con loro. Questo è il motivo per cui mi manca davvero la scuola”, ha scritto uno studente.

 

Siamo entrati nella storia?

Una studentessa mi dice che ricordare la fa stare meglio. A scuola, filmava tutto sul suo telefono e lo pubblicava su Snapchat. “La gente si chiedeva: ‘Perché filmi tutto?’ Beh, ora, ho tutti i miei ricordi che posso guardare mentre mi annoio, mi mancano i miei amici, mi manca com’eravamo allora”.

Uno studente stava fondando un club islamico. Aveva trovato chi gli aveva prestato la stanza per il doposcuola: “Sono davvero super deluso. … Proprio quando volevo diffondere i volantini del Muslim Club, succede questo? No, non ora!”

Uno studente mi chiede: “Come faremo il lavoro di gruppo?” Me lo chiedo anche io.

Un altro studente mi chiede: Siamo entrati nella storia?”.

Uno studente ha iniziato a scrivere una storia di fantascienza, ispirata alla nostra nuova realtà: “Non avrei mai pensato che sarebbe successo, dice. La mia vita dipende ora da che cosa succede su un monitor. Parlo con i miei compagni di classe e con gli insegnanti attraverso la tecnologia. Cosa abbiamo fatto per arrivare a questo? Per tutta la vita abbiamo agito egoisticamente, sulla terra e verso le persone che ci circondano. Non abbiamo mai pensato a come questo avrebbe influenzato tutto. Ed eccoci qui a soffrire, a preoccuparci, a fidarci degli altri. Pensavamo che una piccola cosa non avrebbe influenzato l’intera comunità. Chi lo ha pensato dovrebbe guardare a questa realtà di oggi”.

 

Tante domande

Un altro studente ha detto: “Stiamo imparando ad apprezzare ciò che abbiamo. Abbiamo dato così tanto per scontato”.

E un altro studente, che tutti sappiamo non aver mai letto nulla al di fuori dei testi scolastici, ci racconta che si annoia moltissimo, e poi esclama: “Indovina un po’, Ariel. Per la prima volta in vita mia, ho cominciato a leggere per conto mio. Ho preso questo libro e ne ho letto un po'”.

Lasciando la sessione di Zoom, mi sento bene. Farò un po’ di correzioni e commenti sugli esercizi dei miei studenti in Google doc. Poi porterò mia figlia a fare due passi. Ci terremo a distanza dai pochi altri, là fuori. Mi chiedo: è sicuro? E mia figlia uscirà traumatizzata da questa esperienza? E io?

Intanto mi arrivano altre mail, altre notizie: L’unica persona che si occupava a casa di due dei nostri studenti è malata, sembra di COVID-19. Mi manca di nuovo il respiro. Non c’è nessun abbraccio che io possa offrire. Nessuna soluzione alla mia portata. Solo emoticon, empatia, preghiere.

Forse tutti noi, americani, insegnanti, studenti, impareremo qualcosa da questa pandemia. Ho letto delle considerazioni simili. Ma non c’è modo di aggirare la devastazione già in atto nelle nostre vite. Rimaniamo fermi, grati di essere connessi e propositivi, e teniamo gli occhi aperti. Ma non stiamo bene.

 

 

 

 

 

 

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