Dalle suggestioni di Gianni Rodari, per un uso libero e creativo del linguaggio, allo sguardo sulla contemporaneità del teorico dei media Douglas Rushkoff. Come costruire insieme il futuro tecnologico nel quale vorremmo vivere.
Nel 1973 Einaudi pubblica un libretto – così lo definisce lo stesso Rodari – dal titolo “Grammatica della fantasia”. Per chiunque graviti nel settore educativo questo testo rappresenta una radice salda nel terreno, un manuale, una guida, un volume tascabile, ma denso, composto da quella mistura di tecnica, ispirazione e narrazione dell’esperienza che Gianni Rodari ha saputo lasciarci in eredità.
Il cuore pulsante di questo libro sono i processi della fantasia e le regole della creazione. Lo scopo del libro è quello di renderne l’uso accessibile a tutti, non tanto con delle tecniche per inventare storie, ma piuttosto con una raccolta di “materie prime”, idee, occasioni di riflessioni fantastiche per muoversi con leggiadria tra le pieghe della routine scolastica e per riconoscere il ruolo della creatività all’interno del processo educativo.
Dice Rodari che nel suo libro “si tratta dell’invenzione per mezzo delle parole e si suggerisce appena, ma senza approfondire, che le tecniche potrebbero facilmente essere trasferite in altri linguaggi”[1]. Tra binomi fantastici, errori creativi, costruzioni di indovinelli e molto altro, la materia con cui si plasma è la parola, ma essa non è che l’elemento base di uno dei possibili linguaggi di cui tutti noi possiamo riappropriarci, riscoprendone la potenza e le potenzialità con un piccolo aiuto da parte dei bambini e della loro sconfinata libertà intellettuale.
Ogni volta che rileggo queste righe, immersa nel mondo della robotica educativa e degli strumenti tecnologici applicati alla didattica, – scolastica e non – automaticamente sorge in me un quesito: “se Gianni Rodari avesse conosciuto il mondo della robotica educativa così come oggi si configura, avrebbe aggiunto questo linguaggio alla sua lista?”
Linguaggio dell’invenzione: dare forma alle proprie idee
Molto spesso quando mi capita di citare un’opera di Rodari mi dispiaccio di non potere avere la sua persona seduta con noi tra i banchi di scuola a mostrarci senza alcuna spiegazione che cosa davvero ci stesse insegnando. Diciamo dunque che nell’impossibilità di rispondere alla domanda, con una buona dose di umiltà, ci limitiamo ad accogliere la sua suggestione. Molti sono i linguaggi con i quali lavoriamo quando ci addentriamo nel mondo della robotica educativa e del coding. Non si tratta solo di linguaggi di programmazione, che usiamo per comunicare efficacemente determinate serie di comandi ad un robot o ad una macchina, ma si tratta dei linguaggi dell’invenzione, della rappresentazione e dell’imitazione del mondo, e ancora dei linguaggi dell’interattività e dell’animazione. “Spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile”[2]. Facendo nostre le parole di Rodari quando ci approcciamo agli strumenti tecnologici possiamo davvero intravederne il potenziale come strumenti utili allo sviluppo della propria capacità di creare, di raccontare e di raccontarsi.
Se da un lato possiamo affidarci al pensiero di pedagogisti come Papert e Piaget per comprendere a fondo il potenziale di questi strumenti come strumenti di conoscenza, capaci di stimolare un apprendimento profondo poiché basato sull’esplorazione, sulla manipolazione e sull’esperienza, per vedere con i nostri occhi il loro potenziale creativo, non possiamo che consegnarli nelle mani dei nostri studenti e osservare in quali e quanti modi la creazione prenda vita.
Il bambino e la bambina che si cimentano nel coding e nella robotica educativa si trovano per le mani uno strumento che permette loro di dare una forma tangibile alle loro idee, alle loro visioni e astrazioni mentali; una forma che può essere la creazione di una narrazione, l’elaborazione di un processo complesso o la costruzione di una macchina autonoma e funzionante.
Il coding e la robotica educativa sono dunque strumenti per apprendere, per inventare, reinventare e narrare la realtà, ma non è difficile intuire con quale potenza essi ci introducono anche alla materia di cui è fatto il mondo in cui tutti noi siamo immersi.
Rivoluzione digitale sinonimo di opportunità
Con il progredire della rivoluzione digitale siamo stati, e siamo tuttora, insieme testimoni e protagonisti di una nuova alfabetizzazione, eppure prendere parte attivamente a questa trasformazione molto spesso appare più difficile di ciò che ci si potrebbe aspettare. Douglas Rushkoff, scrittore, teorico dei media e documentarista, già dieci anni fa metteva in luce come in questa rivoluzione mediatica – proprio come nelle rivoluzioni mediatiche precedenti – abbiamo “abbracciato le nuove tecnologie e le alfabetizzazioni della nostra epoca senza in realtà apprendere né i meccanismi operativi né gli effetti operativi su di noi.”
La lettura di Rushkoff si spinge ben oltre e rivolgendo specificamente la sua attenzione al mondo del web, agli albori dell’avvento dei social network, già sottolinea come: “un’intera società che considerava Internet un percorso verso interconnessioni positivamente articolate e nuove metodologie per la creazione di significato, si ritrovi invece disconnessa al suo interno, priva di riflessioni profonde e svuotata di valori duraturi.” Ma non è il caso di disperarsi però, perché “Non c’è alcun motivo perché vada a finire così. E per evitarlo basta decidere di imparare le caratteristiche insite nelle tecnologie che stiamo usando e di svolgere un ruolo consapevole nelle procedure con cui queste vengono implementate”[3].
Lo strumento tecnologico non è che un’invenzione umana e come tale non possiamo che riempirla con i nostri significati e con un valore che siamo sempre noi a creare. A educatori ed insegnanti il presente chiede di restare vigili e di non lasciarsi spaventare da un mondo che molto spesso non desidera essere compreso. “Programma, o sarai programmato” titolava il libro di Rushkoff, ma non per forza da soli, aggiungerei io.
È indubbio che non possiamo e non dobbiamo diventare tutti programmatori, ma possiamo invece pretendere di essere ammessi al gioco che definisce sempre più l’andamento delle nostre vite. Un buon punto di partenza è esercitare l’atto di fare domande, fare molte domande a chi conosce queste strutture, a chi le costruisce così come a chi decide quali saranno quelle prescelte. Domande sbagliate o puntuali, complesse, ma anche estremamente semplici, che ci permettano di instaurare un dialogo che metta in comunicazione il cuore della nostra conoscenza con questi nuovi linguaggi che plasmano nel profondo la nostra vita quotidiana. Una comunicazione che sia sempre biunivoca e se da un lato saranno la nostra conoscenza collettiva, i nostri bisogni e le nostre qualità e capacità umane a riorganizzarsi in forme nuove, dall’altro anche i linguaggi e le strutture alla base delle tecnologie che popolano le nostre vite, dovranno poter essere ripensati e modificati per adattarsi non solo ad esigenze condivise e contingenti, ma a sogni ed aspirazioni per un futuro desiderabile, un futuro umano nel senso più ampio e felice del termine.
Robotica educativa e coding: un’occasione per intraprendere una strada diversa
Timori e resistenze davanti alle tecnologie di certo non appartengono al mondo dei bambini, che usufruiscono di questi strumenti sin dai primi anni di età e ne comprendono le dinamiche e il funzionamento alla velocità della luce, pure senza conoscerne le strutture interna. Nessuno si augura che ognuno di loro, né che ognuno di noi, possa o debba diventare esperto di ogni nuovo prodotto del progresso tecnologico; ciò di cui abbiamo bisogno per non essere spettatori passivi del nostro presente è il saper riconoscere come questi strumenti funzionano, per quale scopo sono stati creati e quale ruolo stiamo svolgendo – quale ruolo è stato pensato per noi – nel momento in cui ci troviamo ad utilizzarli.
Introdurre il coding e la robotica all’interno di un progetto educativo significa dunque offrire a bambine e bambini, ragazze e ragazzi, un’occasione per spacchettare un universo tecnologico al quale già sono abituati, mostrando loro come esso sia un’invenzione umana, proprio come lo sono stati la ruota, il rastrello, la penna e la matita. Un’occasione per intraprendere con loro una strada diversa che li allontani (e allontani noi con loro) da una prospettiva futura che ci vede come utilizzatori passivi di tecnologie onnipresenti.
“Tutti gli usi della parola a tutti, non perché tutti siano artisti ma perché nessuno sia schiavo”, è il “buon motto” con cui Rodari apre la sua Grammatica. Che possa essere valido per ogni nuovo alfabeto, che ci possa accompagnare alla scoperta di tutti quei linguaggi che plasmano e trasformano il mondo in cui viviamo.
[1] Gianni Rodari, Grammatica della Fantasia, Einaudi, 1973, p. 14
[2] Ibid
[3] Douglas Rushkoff, Programma o sarai programmato. Dieci istruzioni per sopravvivere all’era digitale, Postmedia Books, 2012