Nel mondo della robotica e dell’informatica si parla spesso di Intelligenza Artificiale, sempre più diffusa e presente in diversi dispositivi che utilizziamo quotidianamente. A proposito, se volessi scoprirne di più a riguardo puoi leggere questo articolo sull’IA.
Ma, quando possiamo definire una macchina intelligente? Per arrivare a discuterne, è necessario riflettere sul concetto stesso di intelligenza.
Cosa significa intelligenza?
Secondo il Dizionario Online Treccani, l’intelligenza è il
Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e lo rendono insieme capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento (Treccani, n.d.)
Sebbene tale definizione sembri riferirsi all’intelligenza come di esclusiva pertinenza umana, è interessante notare come si focalizzi sulla rappresentazione astratta della realtà e sulla capacità di adattamento a modifiche dell’ambiente. In realtà, non è presente accordo sul concetto di intelligenza nella comunità scientifica, ma la precedente idea è condivisa anche in altre ricerche. Ad esempio, Burt (1909) definì l’intelligenza come
La capacità di riadattamento a situazioni relativamente nuove mediante una riorganizzazione psicofisica.
Definizioni simili sono fornite anche, ad esempio, da Stern (1914) e Freeman (1925), e si nota come, in realtà, il concetto di intelligenza sia osservabile anche agli animali (Krause, Ruxton, Krause, 2010; Reznikova, 2007). Assumiamo, quindi, che l’intelligenza sia la capacità di rispondere coerentemente a degli stimoli, al fine di riadattarsi a una nuova situazione.
Le macchine sono intelligenti?
Giunti a questa idea di intelligenza, possiamo chiederci se le macchine possano essere intelligenti. Secondo le precedenti definizioni, una macchina in grado di adattare il proprio comportamento ad una modifica dell’ambiente – di fatto stiamo definendo un robot – rientrerebbe nella categoria dei dispositivi “intelligenti”.
Tuttavia, credo – e immagino lo pensiate anche voi – che un robot, in grado di evitare un ostacolo, sia sì in grado di adattarsi all’ambiente, ma che sia ben distante da poter essere definito “intelligente”. Possiamo, allora, immaginare come intelligente una macchina in grado di risolvere efficacemente ed in breve tempo compiti complessi (o che ci sembrino tali)? Ad esempio, è intelligente una macchina in grado di risolvere il cubo di Rubick in pochi istanti? In realtà, non è vero neppure questo, poiché per la soluzione di tale problema abbiamo un algoritmo, quindi nessuno sfoggio di capacità intellettive.
Siccome la definizione stessa di intelligenza non prevede accordo unanime, è ancor più difficile adattare tali idee al mondo delle macchine. Tuttavia, di fatto, esistono dei test che possono fornire indicazioni di massima sulle capacità “intellettive” di una macchina. Uno di questi è quello che viene definito test di Turing, e che per la sua semplicità andiamo ad analizzare.
Il test di Turing
Come abbiamo visto, la definizione di intelligenza non è univoca, e non può essere direttamente applicata ad una macchina. Il famoso scienziato Alan Turing, in un articolo del 1950 su questo tema, propone per ovviare a questo suggerisce di formulare la domanda in modo leggermente diverso. Egli propone di chiedersi
“può una macchina comportarsi in modo tale da sembrare umana?”
Nel caso la risposta a tale domanda fosse affermativa potremmo allora assumere che tale macchina sia “intelligente”.
Per analizzare tale problema Turing si ispira un gioco, che chiama “Gioco dell’imitazione”. In tale prova, una persona (C) viene separata visivamente da altre due persone (A) e (B), e può comunicare con loro – facendogli delle domande – solamente tramite dei messaggi dattiloscritti o stampati. (A) e (B) sono rispettivamente un uomo e una donna, o viceversa, e (C) deve capire con chi sta comunicando. In particolare, (B) dice la verità e cerca di instradare (C) sulla strada giusta, mentre (A) mente e vuole convincere (C) di essere del sesso opposto.
Il fatto che (C) sia separato dagli altri due attori del gioco, e che possa comunicare con loro solamente mediante messaggi dattiloscritti è al fine di evitare che possa, da osservazioni visive, inflessioni vocali o di analisi calligrafica, supporre il sesso degli altri due partecipanti al gioco.
L’estensione di tale gioco alle macchine, che prende quindi il nome di Test di Turing, prevede che l’attore (A) venga sostituito da una macchina in grado di comunicare in modo dattiloscritto. A questo punto la macchina dovrà cercare di fingersi umana, e (C) dovrà capire, se tra (A) e (B) uno sia una macchina. Il criterio prevede che si possa definire la macchina (A) intelligente nel caso in cui sia indistinguibile dall’essere umano, ovvero il numero di volte in cui (C) indovina le risposte al gioco siano simili sia nel caso in cui (A) sia una macchina, sia nel caso in cui invece sia un vero umano.
Critiche al Test di Turing e qualche idea didattica
Evidentemente, il test appena proposto non è infallibile. Basti, ad esempio, pensare che tale prova può funzionare soltanto con macchine in grado di comunicare in modo dattiloscritto. Ancora, è possibile realizzare software, non intelligenti, ma che sono intrinsecamente in grado di passare il test. Uno di questi è ELIZA, che risponde ad una domanda mediante una riformulazione della stessa (Weizenbaum, 1966; Thomas, 1995).
Inoltre, è necessario tenere conto che l’umano – per sua natura – è soggetto a comportamenti che potremmo definire “non intelligenti”, come ad esempio il possibile alto tasso di risposte errate o con errori ortografici, la tendenza a mentire o a rispondere ad insulti, il tempo necessario a formulare una risposta e così via. In questo caso, salvo che il software non sia pensato per avere questi comportamenti, è estremamente facile identificare la macchina. Ancora, il test di Turing, non prevede che la macchina abbia un corpo, aspetto che potrebbe, però, essere importante in talune situazioni.
Ricordiamoci, ancora, che gli stessi presupposti del test sono fallaci: non rispondiamo esattamente alla domanda “questa macchina è intelligente?”, ma dirottiamo l’attenzione su “questa macchina è in grado di esibire un comportamento umano?”, che evidentemente non ha il medesimo significato.
Numerosi altri test per la definizione dell’intelligenza di una macchina sono stati creati, a partire da varianti del test di Turing o cercando di aggirarne le debolezze. Tuttavia, siamo davvero sicuri che abbia senso focalizzarsi così tanto sull’intelligenza di una macchina? Ha senso cercare di progettare macchine che siano sempre più simili all’essere umano? Che siano in grado di imitarlo? Francamente, credo di no, ma queste potrebbero essere domande su cui riflettere nelle vostre classi e con i vostri studenti. Con loro, potreste anche provare a realizzare dei semplici test di Turing, provando a comunicare – magari mediati da delle chat anonime – tra compagni. Uno dice la verità e l’altro mente, oppure uno copia la domanda posta da (C) in uno dei tanti chatbot disponibili online, e risponde incollando la risposta della macchina nella chat, così da agire come se fosse la macchina (A).
Bibliografia
“Intelligenza”. (n.d.). Nel Vocabolario online Treccani. Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.A. Last retrived on 31st of March, 2021 https://treccani.it/vocabolario/intelligenza/
Burt, C. (1909). Experimental Test of General Intelligence. British Journal of Psychology, III, 168.
Stern, W. (1914). Psycological Methods of Testing Intelligence. p 3.
Freeman, F., N. (1925). What Is Intelligence?. The School Review, Vol 33, No 4, pp 253-163. The University of Chicago Press.
Krause, J., Ruxton, G., D., Krause, S. (2010). Swarm intelligence in animals and humans. Trends in Ecology & Evolution, Vol 25, Issue 1, pp 28-34. ISSN 0169-5347.
Reznikova, Z. (2007). Animal intelligence: From individual to social cognition. Cambridge University Press.
Turing, A., M. (October, 1950). Computer Machinery and Intelligence. Mind, New Series, Vol 49, No 236, pp 433-466. Oxford University Press on behalf of the Mind Association
Weizenbaum, J. (January, 1966). ELIZA – A Computer Program For the Study of Natural Language Communication Between Man And Machine. Communications of the ACM, 9 (1) pp 36–45. doi:10.1145/365153.365168.
Thomas, P., J. (1995). The Social and Interactional Dimensions of Human-Computer Interfaces. Cambridge University Press. ISBN 978-0-521-45302-8
Attribuzione delle immagini
[1] Rappresentazione del gioco dell’imitazione, Hugo Férée, rilasciata con licenza CC-SA 3.0 Unported
[2] Rappresentazione del Test di, Hugo Férée, rilasciata con licenza CC-SA 3.0 Unported